Valida la clausola statutaria che attribuisce ai soci di una spa il diritto di esercitare il recesso ad nutum
Sentenza Corte di cassazione n. 2629 del 29/1/2024
“È lecita la clausola statutaria di una società per azioni (la quale non faccia ricorso al mercato del capitale di rischio), che, ai sensi dell’art. 2437 comma 4 c.c., prevede, quale ulteriore causa di recesso, la facoltà dei soci di recedere dalla società ad nutum con un congruo termine di preavviso”.
Sentenza Corte Cassazione 2629/2024, in Foro It., 2024, I, pag. 1166 ss.
Commento legale dei nostri esperti
Punto di partenza ineluttabile per una disamina della presente massima non piò che essere l’art. 2437 c.c., il quale disciplina il recesso del socio nelle società per azioni. I primi due commi prevedono precise ipotesi in cui è accordato il diritto di recesso al socio dissenziente rispetto a delibere assembleari che vanno a incidere profondamente sul rapporto sociale (il comma 1 prevede ipotesi di recesso non escludibili da parte dell’atto costitutivo, il comma 2 prevede invece ipotesi di recesso accordate al socio «salvo che lo statuto disponga diversamente»). Il comma 3 prevede la possibilità del recesso ad nutum, per le società a tempo indeterminato, con l’obbligo di preavviso di 180 giorni. Il comma 4 dispone che per le società che non fanno ricorso al mercato del capitale di rischio, lo statuto possa prevedere ulteriori cause di recesso; il comma 5 fa salve le disposizioni di cui all’art. 2497-quater per il socio di società soggetta a direzione e coordinamento.
La riforma del 2003 ha avuto come ratio ispiratrice quella di favorire il più possibile la competitività delle società sui mercati internazionali, è noto come la propensione all’investimento sia più elevata quando il disinvestimento risulta agevole. In tale ottica sono stati superati i seguenti punti fermi pre-riforma del 2003: (i) la tassatività delle cause di recesso; (ii) la preferenza accordata all’integrità del patrimonio sociale, con conseguente penalizzazione del socio uscente tramite una liquidazione punitiva della quota. Seguendo tale filo logico, l’art. 2437 c.c. fa salve le cause di recesso previste per le società soggette ad altrui direzione e coordinamento; si fa riferimento all’art. 2497-quater c.c. il quale al comma e lett. c) prevede come causa di recesso «un’alterazione delle condizioni di rischio dell’investimento» in seguito a cessione o sottoposizione della società ad altrui attività di direzione e coordinamento (norma elastica a contenuto indeterminato).
Deve pertanto affermarsi che in seguito alla riforma del 2003 il recesso del socio da una società di capitali non ha più carattere eccezionale.
Inoltre, nel corso del tempo è venuta sempre meno in risalto la funzione garantistica del capitale sociale, che sta alla base della disciplina restrittiva della causa di recesso: si pensi alle norme derogatorie in materia di start-up innovative, le norme in materia di società a responsabilità limitata semplificata, oppure la norma che prevede la possibilità di versare in danaro, in sede di costituzione della società, solo il 25% del capitale sociale.
Il recesso del socio non comporta poi necessariamente un pregiudizio per il capitale della società e la sua integrità in quanto ai sensi dell’art 2437-quater la riduzione del capitale costituisce l’extrema ratio a fronte del recesso del socio.
A fronte di tutto ciò la Corte ritiene legittima la clausola di una società per azioni che riconosce al socio la possibilità di recedere ad nutum (salvo ovviamente l’obbligo di preavviso).
La Cassazione accoglie in tal modo l’orientamento più liberale e meno diffuso, finora accolto dal Cons. not. Milano, massima 74 del 22.11.2005; persevera la Corte nel sostenere l’orientamento consolidato (ma ciò viene affermato in obiter dicta) consistente nel ritenere non parificabile la società di capitali a tempo indeterminato e la società di capitali contratte per un tempo abbastanza lungo da superare l’aspettativa di vita del socio (rimane pertanto isolata la pronuncia in senso contrario di Cass. 9662/2013, in Giur. Comm., 2014, II, p. 802 e in Foro It., 2014, I, p. 553).
Quest’ultima pronuncia riguardava il caso di società contratta fino al 2100, il cui termine finale a seguito di una delibera assembleare, veniva ridotto al 2050. Il socio agiva affinché venisse riconosciuto il suo diritto al recesso sulla base del seguente ragionamento: l’art 2437 prevede come causa di recesso del socio l’eliminazione di una causa di recesso prevista statutariamente. La riduzione del termine (dal 2100 al 2050), facendo venir meno il carattere sostanzialmente indeterminato della società (che passava quindi da società a tempo indeterminato a società a tempo determinato) avrebbe come conseguenza l’eliminazione della possibilità di esercitare il diritto di recesso ai sensi dell’art. 2437 comma 3 Codice Civile. La Cassazione facendo proprio tale ragionamento riconosceva al socio il diritto di recesso, parificando società a tempo indeterminato con società “lunghissima”.
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